
Come vi abbiamo accennato QUI i percorsi individuali di crescita e di realizzazione di Sè sono estremamente variabili, così come è variabile (e complesso) il contesto di vita in cui ciascuna persona è inserita.
Un buon percorso psicologico (e/o psicoteraputico) deve assolutamente tenere conto di questi fattori, per potersi sintonizzare con i bisogni reali del paziente e la loro soddisfazione, considerando (e tavolta valorizzando) i limiti dell’ambiente fisico, sociale e culturale in cui vive.
Il Lavoro Clinico in sintesi
Il lavoro clinico con il Giovane Adulto percorre in una certa qual misura le fasi di elaborazione del lutto, dove ciò che viene “perso” è l’identità infantile. Tale lavoro procede per step successivi, ai quali tuttavia si può tornare nel caso ci fosse bisogno di ulteriore consolidamento:
-Fase “pre terapeutica”, dove ancora il soggetto non è consapevole della propria sofferenza grazie all’utilizzo della negazione come meccanismo di difesa atto a proteggersi dai nuovi, spaventosi, bisogni emergenti (di crescita, di cambiamento, di responsabilizzazione).
Quando la difesa non regge più e le paure e la sofferenza prendono spazio, l’individuo può rivolgersi a un terapeuta, che tratterà in successione:
-La rabbia, che emerge come risposta alla consapevolezza della necessità di perdere le fantasie illusionali infantili per doversi affacciare su un mondo che fa nuove richieste. E’ importante che il terapeuta riconosca, accolga e normalizzi tale rabbia come emozione naturale poichè rappresenta una fisiologica reazione al sentimento di “ingiusta rinuncia”. Ciò apre la strada ad una successiva fase terapeutica di consapevolezza ed accettazione di un evento – la crescita – assolutamente inevitabile.
-L’Ideale dell’Io, spesso sostenuto dall’ambiente in epoca infantile ma che ora necessita di essere ridimensionato e rivisitato. Anch’esso va inizialmente ascoltato e riconosciuto come utile motore motivazionale ed esplorativo, ma con il tempo ne va riconosciuto il carattere irrealistico (non si può “fare tutto”, “essere tutto”). Si tratta dunque di un lavoro che permette di spostarsi da una posizione di onnipotenza ad una efficace posizione di “potenza relativa”, che implica il riconoscimento del proprio reale potenziale e dunque della concreta possibilità di utilizzarlo.
-Dai “molteplici, potenziali Sè”, al “Vero Sè”, un processo che implica una (difficile) scelta e presa di consapevolezza su quali siano i propri bisogni autentici e le proprie genuine aspirazioni, che di conseguenza andranno a sostenere gli investimenti accademici, lavorativi e relazionali successivi.
-La costruzione e/o il consolidamento della nuova identità adulta, dove si risignifica il tema del cambiamento come “perdita” per giungere ad una nuova rappresentazione dello stesso come “opportunità”. Tale intervento implica anche trattare i vissuti di marca depressiva che spesso emergono in relazione alla necessità di abbandonare il “nido” genitoriale e la protezione che esso garantisce.
Il Lavoro Trasversale sul Sistema di Sicurezza
Un lavoro sulla rinuncia alle sicurezze infantili come quello descritto sopra non può prescindere da un lavoro parallelo altrettanto (anzi, più) importante: quello di costruzione di nuove sicurezze.
Non possiamo, in altre parole, togliere le vecchie pile al telecomando e pretendere che questo funzioni ancora se non inseriamo le pile nuove.
Pensato come elemento che garantisce il funzionamento dell’individuo, e considerando che in epoche diverse della vita occorrono “diversi funzionamenti”, il Sistema di Sicurezza è un ingranaggio che va rinnovato in relazione ai nuovi bisogni e alle nuove richieste ambientali cui è sottoposto l’individuo.
Dunque, se le sicurezze di un bambino si basano sulla certezza che qualcun altro (il genitore) si occuperà di lui, tali sicurezze non funzionano più quando – diventato adulto – dovrà basarsi prevalentemente su di sè per muoversi nel mondo. Avrà quindi bisogno di costruire sicurezze nuove.
Il lavoro clinico sulla costruzione delle nuove sicurezze, che renderanno l’individuo autonomo nell’occuparsi di sè, si basa su due “azioni” fondamentali:
– Il riconoscimento delle proprie risorse, certamente già impiegate ma non ancora realmente “viste”: prendere coscienza di risorse presenti (o potenziali ma ancora inespresse) costituisce la base per la costruzione di un Sè solido e sicuro di poter affrontare le sfide del mondo, donando al soggetto un senso di potere e padronanza sulla propria vita.
– La discussione sulla “differenza ora-allora”: tramite interventi mirati, il terapeuta porta il paziente a riconoscere che non è più un bambino, e che come adulto dotato di nuove risorse e capacità può – ora – prendersi cura di sè.
CONCLUSIONE: può non essere una “fase”
Se per alcuni individui le difficoltà di questa fase della vita possono essere transitorie e risolversi naturalmente, per altri la quota di sofferenza (e ritiro) può raggiungere livelli insostenibili e tradursi in una conclamata patologia che necessita l’intervento di uno o più specialisti della salute mentale.
ATTENZIONE: Questo articolo traccia in modo riassuntivo e sintetico quelli che possono essere i temi trattati durante un percorso di psicoterapia, ma non è sufficiente, da solo, a curare un disturbo.
Se esperisci intensi sentimenti di disagio, paura per il futuro e sfiducia che ti portano a ritirarti e a disinvestire nelle attività che prima ti procuravano piacere, puoi rivolgerti a un Professionista.
Sul Territorio sono molti i Servizi di Salute Mentale Pubblici, Privati e Privati Accreditati ai quali puoi rivolgerti. Ne trovi un elenco QUI. (https://www.familyper.it/area_tematica/servizi-alle-famiglie/sostegno-psicologico/)